Piccolo imprenditore e business plans

Piccolo imprenditore e business plans

Piccolo imprenditore e business plans 150 150 Giovanni Pianca

Piccolo imprenditore e business plans: quando il piccolo (e a volte pure medio) imprenditore li  predispone ? Mai o quasi mai, sicuramente non su base periodica.

Le poche volte che ciò avviene è perché gli viene richiesto.

Quali sono queste situazioni? Tipicamente quelle relative ad operazioni straordinarie o a circostanze “eccezionali”: acquisizione dell’azienda o di suoi rami, cessione di pacchetti azionari, piani di risanamento, ecc..

Quindi solitamente l’operatività aziendale delle PMI non prevede la predisposizione di piani previsionali economici, patrimoniali e finanziari. Insomma la relazione tra piccolo imprenditore e business plans è quella di una “scarsissima frequentazione”.

Ebbene, quest’epoca è finita: il piccolo imprenditore è ora obbligato a farlo.

Due le cause di quest’obbligo:

  • il principio contabile internazionale IFRS9: cosa c’entra l’imprenditore ? Per il dettaglio vi rimando a precedente articolo. Basti dire qui in estrema sintesi che le banche di minori dimensioni, le quali solitamente operavano gli accantonamenti patrimoniali prudenziali sulla base delle perdite effettivamente subite sui crediti erogati alla clientela, ora dovranno farlo tenendo in considerazione le perdite attese e quindi assai verosimilmente andranno a ridurre gli affidamenti concessi, anche ad imprese in bonis . Questo per l’imprenditore significa:

– al momento di concessione / rinnovo / ampliamento dei fidi, oltre al dettaglio analitico dei bilanci già chiusi (e, per le società di capitali, depositati) e delle situazioni intermedie in corso d’anno, gli verranno pure richiesti bilanci previsionali per gli esercizi successivi, proprio per valutare tale probabilità di perdite;

  • il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, pubblicato da pochi giorni in Gazzetta Ufficiale. Vediamone solo i passaggi più salienti per quanto qui ci riguarda:

a)    per «crisi» si intende lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per  le  imprese  si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa PROSPETTICI a  far fronte regolarmente alle obbligazioni PIANIFICATE;

b)   l’imprenditore  individuale  deve  adottare  misure  idonee  a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte. Le società devono adottare un assetto organizzativo adeguato ai fini della  tempestiva rilevazione dello stato di  crisi e dell’assunzione di idonee iniziative.c)    questi  obblighi  organizzativi posti a carico dell’imprenditore sono finalizzati alla tempestiva rilevazione degli indizi di  crisi  dell’impresa  e  alla  sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione;d)   costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario,  rapportati  alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale, tenuto conto della data di  costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della SOSTENIBILITA’  dei  debiti  per  almeno  i  sei  mesi successivi  e  delle  prospettive  di  continuità  aziendale   per l’esercizio in corso o, quando la durata  residua  dell’esercizio  al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei  mesi successivi.

I punti di cui sopra evidenziano palesemente che l’impresa deve dotarsi di sistemi amministrativi e informatici in  grado di elaborare prospetti previsionali.

Oltre che elaborazioni relative al breve-medio periodo, bisogna essere in grado di monitorare frequentemente e costantemente quanto avviene ai conto dell’impresa.

Infatti, sono indici significativi di (eventuale) crisi quelli che misurano:

    • la  (in)sostenibilità  degli  oneri  dell’indebitamento  con  i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare (si parla a questo proposito di DSCR – debt service cover ratio – cioè di indici che evidenzino la capacità o meno dell’impresa di onorare il servizio del debito; altro indice con cui anche le PMI dovranno ben presto abituarsi a calcolare);
    • la (in)adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi (vale a dire il rapporto di indebitamento).

Costituiscono  altresì  indicatori di crisi ritardi nei pagamenti reiterati e  significativi, tra cui l’esistenza di:

1) debiti  per  retribuzioni  scaduti  da  almeno 60 giorni  per  un  ammontare   pari   ad   oltre   la   metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;

2) debiti  verso  fornitori  scaduti  da  almeno 120i giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti  non scaduti;

3) il superamento, nell’ultimo bilancio approvato, o comunque per oltre tre mesi, degli indici elaborati  dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica secondo le classificazioni I.S.T.A.T., che, valutati unitariamente, faranno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di  crisi dell’impresa. Si provvederà ad elaborare  indici  specifici  con riferimento alle start-up innovative, alle PMI  innovative, alle  società  in liquidazione, alle imprese costituite da meno di due anni.;

4) l’impresa che non riterrà adeguati,  in  considerazione  delle proprie caratteristiche, gli indici elaborati ne specificherà le ragioni nella nota integrativa al bilancio di  esercizio ed  indicherà,  nella  medesima   nota, gli indici idonei a far ragionevolmente presumere la sussistenza del suo stato di  crisi. Un professionista indipendente attesterà l’adeguatezza di tali  indici in rapporto alla specificità dell’impresa. L’attestazione  sarà  allegata alla nota integrativa al bilancio di esercizio e ne costituirà parte integrante. 

Questi sono i fattori che obbligano sin da subito i piccoli e medi imprenditori (le grandi imprese hanno sempre avuto processi di budget e pianificazione che assolvono  – pure –  a queste finalità) a dotarsi di idonei strumenti organizzativi ed informatici per assolvere a queste incombenze.

Si noti che si è evidenziata la necessità di implementare su base regolare:

a) la capacità di elaborare periodicamente prospetti previsionali: business plans intesi come situazioni economiche, patrimoniali e finanziarie (quindi sostanzialmente conti economici, stati patrimoniali e rendiconti finanziari, questi ultimi che diano adeguata evidenza dei flussi di cassa), relativi indici (nelle relative famiglie: redditività, liquidità, solidità, ecc.) e simulazioni (ipotesi “what … if”; stress tests); ma …

b) più in generale, non solo business plans: come visto da quanto sopra evidenziato, un sistema organizzativo-contabile-amministrativo che, oltre ad avere una ragionevole predittività dell’evoluzione futura (punto a), che colga immediatamente (cioè non appena si manifestino) i segnali di crisi. Basti pensare che, come sopra esposto, è indicatore di crisi il superamento per oltre tre mesi degli indici che elaborerà il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili. Il tenore letterale della norma fa intendere che l’impresa debba quindi essere dotata di un sistema che consenta il monitoraggio pressoché continuo di questi indici.

Questo è il contesto normativo con cui le PMI devono sin da subito “fare i conti”. Quindi la relazione tra piccolo imprenditore e business plans è resa stringente da obblighi “esterni”.

Ma il business plan è di per se stesso uno strumento utilissimo non tanto per le sue capacità predittive (che frequentemente – almeno su un orizzonte di medio periodo – sono assai limitate; l’imprenditore spesso per ovvi motivi tende a propalare a terzi una visione molto più ottimistica del futuro della sua azienda per non dire della forte variabilità da oltre una decina d’anni del contesto macroeconomico e di singoli settori, per la crisi finanziaria ed economica ma anche per l’avvento delle tecnologie digitali ), quanto per tutta una serie di ragioni: così, a titolo esemplificativo, tramite gli opportuni strumenti si può essere in grado di conoscere il proprio posizionamento competitivo nel settore di appartenenza (le banche hanno già gli strumenti per conoscerlo  e pertanto sanno se l’impresa che chiede la concessione di un affidamento ha una redditività e una capacità di generare cassa in linea con quella del settore o meno) e comprendere quali sono i risultati medi delle imprese concorrenti e di quelle più performanti. Ecco allora che il business plan può diventare una “road map” per assumere le azioni adeguate per migliorare i risultati dell’impresa.







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