Il controllo della liquidità nelle PMI

Il controllo della liquidità nelle PMI

Il controllo della liquidità nelle PMI 150 150 Giovanni Pianca

Ai fini del controllo della liquidità va premesso che in un’impresa questa è generata dalla somma algebrica di:

  • margine operativo lordo, cioè dei ricavi di vendita al netto dei costi operativi;
  • capitale circolante netto, dato dalla differenza tra attivo corrente (in primis crediti commerciali) e passivo corrente (soprattutto debiti di fornitura);
  • gestione delle immobilizzazioni.

Si ha quindi:

MARGINE OPERATIVO LORDO
+/- variazione capitale circolante netto
= FLUSSO di CASSA della GESTIONE CORRENTE (A)
ammortamenti
+/- variazione investimenti netti
= FLUSSO di CASSA della GESTIONE degli INVESTIMENTI (B)
= FLUSSO di CASSA della GESTIONE OPERATIVA (A+/-B)

Il flusso di cassa così (eventualmente) generato dalla gestione operativa va a beneficio di:

  • finanziatori (banche ed eventualmente soci per finanziamenti), riducendo la posizione finanziaria netta;
  • erario (per imposte dirette);
  • e, infine, residualmente, soci (dividendi).

 

Quali sono i riflessi delle variazioni del capitale circolante netto (CCN) sulla generazione della cassa e quindi nel controllo della liquidità ?

Come noto un buon margine operativo non è garanzia di liquidità se i clienti sono poco solvibili o se sono state concesse loro dilazioni di pagamento troppo “generose”.

Occorre monitorare attivamente le posizioni creditorie per prevenire eventuali futuri mancati incassi o allungamenti dei tempi di incasso e comunque per ridurre il fabbisogno finanziario derivante da un CCN in crescita.

Alcuni strumenti:

  • analisi clientela in termini di rischio: esistono da lungo tempo data-base che consentono la verifica (e il continuo monitoraggio) della solvibilità di ogni impresa e quindi del correlato rischio di credito;
  • definizione di limiti di affidamento per singolo cliente;
  • segmentazione dei clienti in base all’eventuale esistenza di contratti di fornitura: tipicamente con i clienti fidelizzati è stato stipulato un contratto, dal che discende una maggiore possibilità di monitoraggio.

Più in generale occorre dotarsi di strumenti che analizzino per singolo cliente:

  • canale di vendita (diretto, agente, ecc.);
  • mezzo di pagamento;
  • condizioni di pagamento (gg. dilazione, sconto cassa, ecc.);
  • storico acquisti (totale acquistato, frequenza acquisti ed epoca acquisti);
  • affidamento concesso (in % sul totale acquistato dal cliente e sul totale fatturato o in limite assoluto) ed esposizione presente (ammontare del credito);
  • storico insoluti (numero insoluti, importi);
  • storico durata media incasso fatture e confronto con gg. dilazione concessi;
  • giorni di dilazione trascorsi da ultima fattura pagata e dalla prima fattura non pagata.

In questo modo è possibile controllare tempestivamente i crediti incagliati e quelli in sofferenza, per attuare le opportune azioni volte al recupero.

Più in generale gestire la tesoreria significa controllare la durata media dei crediti:

durata\ media\ crediti\ commerciali = \frac{crediti\ verso\ clienti}{ricavi\ di\ vendita}\ x\ 365

e quindi (meno durano, più “ruotano”) l’indice di rotazione:

indice\ di\ rotazione = \frac{ricavi\ di\ vendita}{crediti\ verso\ clienti}

A tal fine è auspicabile dotarsi delle opportune personalizzazioni del proprio software gestionale.

 

Come si riflette lo smobilizzo del portafoglio commerciale (presentazioni s.b.f., anticipi fatture) sul CCN ?

  • Se, a fronte della presentazione del portafoglio commerciale, la banca concede un maggior fido per pari importo (cosiddetto “fido mobile”), il credito non va rimosso dal bilancio (e quindi l’attivo corrente non diminuisce) fino al pagamento a scadenza e il maggior fido concesso dalla banca si riflette in una maggiore provvista spendibile e quindi in una diminuzione del saldo contabile bancario (incremento della posizione finanziaria netta); a scadenza il pagamento del credito porterà a una diminuzione dell’attivo corrente e quindi il CCN diminuirà (ciò significa una maggiore liquidità);
  • se la banca invece anticipa l’importo non si ha, inizialmente, alcun effetto sul CCN (infatti si ha un accredito della somma in conto corrente e un corrispondente debito verso la banca con una posizione finanziaria netta invariata); a scadenza, il credito verrà rimosso dall’attivo (minor attivo corrente) e il debito dal passivo (decremento della posizione finanziaria netta); anche in tale caso quindi il CCN diminuisce;
  • cessione del credito: se contrattualizzato come “pro-soluto” (cioè il cedente è liberato dal rischio di inadempimento del cliente ceduto), si ha rimozione del credito dall’attivo, e si ha pertanto pure in tale caso una diminuzione del CCN, con un aumento del flusso di cassa.

 

Si segnala qui che la crescente digitalizzazione del sistema finanziario ha portato alla nascita di altri strumenti che consentono la smobilizzazione del portafoglio commerciale, senza segnalazione di maggiori affidamenti accordati alla Centrale dei Rischi di Banca d’Italia, con conseguente beneficio per il merito creditizio dell’impresa (si rinvia a precedente articolo sull’invoice trading).

 

Considerazioni analoghe debbono essere svolte per i debiti di fornitura, ove si avrà:

durata\ media\ debiti\ commerciali = \frac{debiti\ verso\ fornitori}{acquisti\ di\ beni\ e\ servizi}\ x\ 365

e:

indice\ di\ rotazione = \frac{acquisti\ di\ beni\ e\ servizi}{debiti\ verso\ fornitori}

 

In generale una politica commerciale volta a concedere ai clienti maggiori dilazioni di pagamento provoca un aumento del capitale circolante netto (incrementandosi i crediti) e quindi un assorbimento di cassa.

 

I recenti interventi normativi (pubblicazione in Gazzetta Ufficiale in data 14 febbraio 2019 del d. lgs. n. 14/2019 rubricato “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”) suggeriscono pure di simulare periodicamente degli “stress tests”, andando ad analizzare quali possano essere le conseguenze di un ipotetico aumento del capitale circolante (aumento durata media crediti e/o diminuzione durata media dei debiti di fornitura) in termini di un aumento del fabbisogno finanziario e successiva situazione di tensione finanziaria con conseguente emersione di eventuali segnali di crisi.

Quindi ai fini del controllo della liquidità:

1° suggerimento (che alla luce del predetto intervento normativo sarà tra poco un obbligo): all’interno del sistema organizzativo di cash management dotarsi di un sottosistema di monitoraggio continuativo e pure predittivo dei crediti commerciali (oltre che di debiti scaduti commerciali, verso dipendenti, erario ed enti previdenziali, argomento qui non trattato).

 

Sul CCN influiscono non solo variazioni nell’importo dei crediti commerciali e dei debiti di fornitura ma pure:

– la gestione del magazzino.

Ovviamente il livello delle scorte dipende dal settore di appartenenza e dalla tipologia di prodotto.

In generale occorre trovare il giusto compromesso tra esigenze della produzione e equilibrio finanziario.

Un aumento del magazzino significa un incremento del CCN e quindi un maggiore fabbisogno finanziario.

Anche qui abbiamo degli indici:

durata\ media\ scorte = \frac{rimanenze}{acquisti\ materie\ prime}\ x\ 365

e:

indice\ di\ rotazione = \frac{vendite}{rimanenze}

Maggiore è la durata media delle scorte, più bassa sarà la rotazione del magazzino, maggiore sarà il fabbisogno finanziario; infatti il tempo intercorrente tra l’acquisto delle materie prime, il loro stoccaggio, la successiva trasformazione e vendita drena liquidità in proporzione alla suddetta durata.

Ecco quindi un 2° suggerimento: progettare e implementare politiche di riduzione del livello di scorte, tra le quali, oltre a un più complicato just-in-time, vi sono il consignment stock o il vendor managed inventory.

Con il primo contratto il fornitore si impegna a mettere a disposizione del proprio cliente una certa quantità di merce; questa di proprietà del fornitore fino a che il cliente la consuma/vende ai propri clienti. Allo scadere del contratto, la merce invenduta verrà restituita al fornitore.

Ne derivano i seguenti vantaggi per l’impresa cliente:

  • garanzia di merce a disposizione senza alcun impegno finanziario (la merce in magazzino rimane di proprietà del fornitore – e quindi caricata nel bilancio di quest’ultimo – fino alla eventuale compravendita); in altre parole il cliente preleva (e paga) la merce necessaria solo al momento del bisogno (cioè quando pervengono ordinativi di acquisto o giusto prima di essere lavorata);
  • il rischio di invenduto viene trasferito al fornitore.

In termini di flussi di cassa, un contenimento delle scorte porta alla riduzione del CCN e quindi ad un loro miglioramento; eventuali (contenuti) effetti negativi possono essere dati da un lieve aumento dei costi operativi (premi assicurativi, oneri per eventuali ammanchi) con pari diminuzione del margine operativo lordo.

 

Con il vendor managed inventory il fornitore è responsabile del mantenimento di un certo livello di scorte presso il cliente; il fornitore riceve dal cliente in maniera sistematica ed in tempo reale una serie di dati attraverso un’interfaccia elettronica. In particolare il fornitore riceve i dati relativi alle vendite e ai livelli delle scorte ed è sua responsabilità l’elaborazione degli stessi, la creazione e il rispetto dei piani di stock.

In questo contratto il cliente non ha quindi nessuna incombenza operativa per attività di inserimento ordini di approvvigionamenti o redazione di piani di approvvigionamento ma tutto viene gestito dal fornitore che, di conseguenza, in caso di mancato rispetto del livello di stock si accolla responsabilità ed oneri. Poiché generalmente il cliente acquista la merce al momento della consegna da parte del fornitore, se tale tipo di contratto viene gestito con le modalità del consignment stock (vale a dire con il passaggio di proprietà della merce presso il cliente al momento del consumo/vendita al cliente finale), si ha una diminuzione della consistenza del magazzino iscritto a bilancio, con corrispondente riduzione del CCN e miglioramento del flusso di cassa.

 

In sintesi, in una accezione “ampia” del controllo della liquidità, o meglio, del modo in cui questa viene generata, il capitale circolante netto è sinonimo di impresa che lavora (in inglese si definisce “working capital”); tuttavia un suo incremento determina un corrispondente fabbisogno finanziario; incremento che può essere dovuto a:

– allungamento (vale a dire peggioramento) del ciclo commerciale (le dilazioni concesse ai clienti superano quelle consentite dai fornitori) e/o

– minore solvibilità della clientela e/o

– incremento del magazzino, per non ottimale gestione dello stesso o perché la diminuzione delle vendite non ne permette un corrispondente “scarico”.

Situazioni queste che possono condurre alla rapida emersione di segnali di allerta finanziaria, rapidamente intercettati dal sistema bancario, con rischio di riduzione degli affidamenti o di revoca degli stessi.







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